La nostra storia

Cantine Storiche degli eredi di
Angelo Mastroberardino
fu titolare della ditta
A.MA. AVELLINO Via Filande 6 – loc. Pianodardine

Gli eredi Mastroberardino sono proprietari di un antico opificio industriale, ora Cantine Storiche, sito in Avellino, al centro della zona protetta del rinomato Fiano di Avellino (approvato DOC con DPR 27.04.1978 G.U. 241 – 29.08.1978 e successivi DM; da ultimo modificato con DM 13 ottobre 2020 GU 226 del 26.10.2020) e di vicini territori, famosi per la produzione di vini DOCG, quali il Taurasi e il Greco di Tufo e per la coltivazione di altri vitigni autoctoni. 

A partire dal 1878 la famiglia Mastroberardino fu al timone di una laboriosa azienda di produzione e commercio dei vini irpini, avviata dal Cav. Angelo (senior), al quale si deve la modernizzazione, la riorganizzazione e lo sviluppo della preesistente impresa familiare. Alla sua morte, il figlio Angelo Mastroberardino, dopo qualche decennio di gestione in comune con il fratello Michele, esercitò nell’antico opificio l’attività industriale come ditta individuale, con denominazione A.MA. fino all’anno 1965.

L’opificio, situato in Avellino alla Via Pianodardine, dove si innesta la comunale per Atripalda, ora Via Filande, corrisponde a quello che in origine era un edificio a vocazione produttiva denominato “Gualcheria” o “Filanda”, di proprietà esclusiva dei Principi Caracciolo, del ramo Caracciolo-Rossi.

Sin dal 1581 i Caracciolo furono infatti i feudatari di ampia parte della provincia irpina, allora denominata Principato Ultra e di parte di quella salernitana (arrivando a possedere i feudi di Avellino, Bellizzi, Atripalda, Aiello del Sabato, Candida, Capriglia, Cesinali, Contrada, Manocalzati, Montefredane, Parolise, Salza, Serino, Sorbo Serpico, Torella dei Lombardi e nel Principato Citra San Severino, tra cui Lancusi e Baronissi, per una superficie di 220 Km e oltre), e la loro ininterrotta signoria durò fino all’eversione della feudalità (1806).

Furono proprio i Caracciolo, ad incentivare, a partire dal XVII secolo, lo sviluppo industriale del feudo, sfruttando l’energia idro-elettrica generata dai numerosi corsi d’acqua di cui la provincia irpina era ricca. Sul territorio avellinese, da Monteforte a Pianodardine, dal Fenestrelle al Sabato, Camillo Caracciolo ed i suoi successori si adoperarono con forza affinché l’acqua fosse usata con opportune concessioni per le colture e l’irrigazione dei campi, ma soprattutto per dare impulso alla nuova industria. Fiumi, rivi e torrenti furono deviati ed incanalati per dare energia a mulini, ferriere, gualchiere e soppresse, per impiantare e sviluppare un apparato produttivo con uno spiccato carattere industriale e commerciale: era necessario risollevare le condizioni di territori e popolazione, con la costituzione di un’entità feudale omogenea e compatta dal punto di vista territoriale ed economico.

Lungo il rio prospiciente l’opificio destinato ad ospitare qualche secolo dopo le Cantine Mastroberardino, sorsero svariate attività, tra cui quelle tessili chiamate “gualchiere” o “filande”, per il cui funzionamento si usavano mazze mosse da un mulino ad acqua; in esse si producevano panni di lana utilizzati per lo più per le divise militari in uso all’esercito borbonico.

(ruderi dell’antico mulino dell’Infornata)

Ben sei erano i grandi opifici esistenti tra Monteforte Irpino e Pianodardine, serviti da mulini, porte, portelloni e condotte sotterranee di cui si ha traccia lungo la direttrice ovest-est da Napoli verso Montefusco, serviti nel tempo da più complessi sistemi idro-dinamici, molto innovativi ed efficienti per l’epoca, progettati da qualificati tecnici al servizio dei Principi Caracciolo. 

Ad oggi, questi interessanti esempi di architettura preindustriale sono pressoché scomparsi; se ne rinviene un rarissimo esempio in Sardegna, a Tiana, dove in località Gusabu, in cui scorre il fiume Torrei che parte dal Gennargentu, esiste “la valle delle gualchiere”. Nel periodo delle piogge il fiume è ancora in grado di far girare la ruota in legno dell’ultima gualchiera funzionante d’Italia, la cui energia all’epoca veniva utilizzata per la battitura dell’orbace, stoffa ruvidissima appena tessuta, per renderne possibile la cucitura e la confezione.

(esempio di antica gualchiera)

Le “gualchiere” irpine, in seguito diventate sedi di differenti attività industriali, furono fonte di cospicui proventi per i Principi Caracciolo che spesso le cedettero in affitto a privati per la normale gestione, come comprovano numerosi atti notarili conservati presso l’Archivio di Stato di Avellino (Protocolli notarili di Avellino, I vers. B, 1203, anno 1776).
Dopo qualche decennio dall’avvio e intensivo sfruttamento, i Caracciolo cedettero in affitto anche la filanda di Pianodardine. Il catasto napoleonico degli anni 1809-1810 registra ancora, alle partite 817/818, una taverna e una casa di abitazione in Pianodardine, entrambe intestate al Principe di Avellino, Francesco Caracciolo.


(immagini dei locali interni risalenti all’epoca di utilizzo dell’opificio come stabilimento vinicolo)

(Archivio Storico di Avellino; Tribunale di Avellino, perizie, b.836, fasc. 2029: pianta geometrica della Contrada Pianodardine, proprietà Mastantuoni, 1837)

Nel 1852, quando, in forza di sentenza del Tribunale di Avellino, i beni feudali dei Principi Caracciolo passarono ad altri proprietari, la vecchia filanda di
Pianodardine toccò al cognato di Francesco, Leopoldo de La Tour en Voivre, conte di Napoli, e alla marchesa Giustina Caracciolo (partite catastali dell’epoca n. 29792980).
A partire dalla seconda metà dell’800, epoca in cui fu impiantato il Catasto Fabbricati del Comune di Avellino, l’immobile fu iscritto alla partita n. 285, intestata al Conte Leopoldo de La Tour, fu Emanuele: esso corrispondeva ad un casale di 4 vani al pian terreno e 4 vani al primo piano, descritto come opificio per la filatura del lino e della canapa, con un’annotazione a margine indicante il cambio di destinazione ad uso di abitazione.

(Archivio di Stato Avellino; Pretura di Avellino b. 622, fasc. 376: pianta ostensiva del corso manufatto del Principe di Avellino dalla Puntarola alle gualchiere di Pianodardine, 1838)

Nelle partite catastali successive (nn. 2744, 4575, 5042), sempre intestate ai de La Tour padre e figli, risulta che l’immobile fu ingrandito a 14 vani abitativi al primo piano e 10 vani al piano terraneo, adibiti a lavorazioni.

Alla morte di Leopoldo de La Tour avvenuta nel 1906, i figli Leopoldo Francesco, Maria e Marino ereditarono la proprietà: in quel momento, alla struttura risultava annesso un capannone industriale e una palazzina, adibita a Caserma dei Carabinieri Reali.
Successivamente gli eredi de La Tour, ormai trasferitisi all’estero, vendettero la proprietà ai fratelli Angelo e Michele Mastroberardino, figli del cav. Angelo: la compravendita avvenne per atto del notaio Lucadamo del 20/06/1920, quando tuttavia la famiglia Mastroberardino aveva già da molti anni in locazione l’intera struttura, comprensiva dell’opificio industriale e della superiore zona abitativa per adibirla a stabilimento di produzione vinicola.

(Le Cantine Storiche sul lato di via Filande; sullo sfondo, in bianco, la ex Caserma dei Carabinieri oggi restituita al compendio)

L’azienda vinicola della ditta A.MA. di Angelo Mastroberardino ha quivi operato e prosperato per oltre mezzo secolo, riscuotendo apprezzamenti e rinomanza non soltanto in Irpinia, ma anche nel resto d’Italia, in Europa, in NordAfrica, fino alle colonie dell’allora Regno d’Italia e nelle Americhe, grazie al pregio dei suoi vini e alla fitta rete di relazioni commerciali sviluppata nel tempo.

(in primo piano, la data “1903” incisa a sbalzo sul metallo all’ngresso carrabile su via Filande, risalente al primo utilizzo dell’opificio da parte della famiglia Mastroberardino)

Essa si distinse, tra l’altro, per essersi avvalsa dei più moderni sistemi di trasporto, per ferrovia e cargo navali, all’epoca operanti.
Nelle attuali Cantine Storiche sono ancora visibili le tracce del binario dedicato su cui scorreva il vagone destinato ai trasporti delle uve e del vino da e verso la vicina Stazione ferroviaria.

(visioni delle grotte tufacee all’interno delle Cantine Storiche)

La ditta A.MA. di Angelo Mastroberardino è stata attiva sino al dicembre del 1965, quando il suo ultimo timoniere, nato il 24 novembre 1883, si spense all’età di 82 anni, mentre era ancora attivamente a capo dell’azienda; nessuno dei suoi cinque figli ha proseguito l’attività paterna.

Dopo la chiusura dell’azienda di famiglia, l’opificio vinicolo ha comunque conservato a lungo la sua iniziale vocazione, essendo stato condotto in locazione da altre aziende vinicole quali “Marianna s.r.l.”, dal 1990 al 2004 (azienda successivamente trasferitasi in locali di proprietà nel Comune di Grottolella) e “A Casa” – Vigne Irpine S.p.a., che ha occupato sia i locali produttivi, sia gli appartamenti per uso di foresteria, dal 2007 al luglio 2021.

Oggi le Cantine Storiche, che nel secolo scorso ospitarono una delle più floride e trainanti attività imprenditoriali d’Irpinia alla cui economia contribuirono a dare lustro, rappresentano un raro gioiello dell’architettura industriale settecentesca e insieme un luogo magico, dotato di sobria e potente fascinazione, in cui la cultura legata al vino e al territorio si fonde con le tradizioni di una famiglia operosa e con il doveroso omaggio a gente instancabile, piena di passione per il lavoro e visione del futuro. L’amore per il lavoro, vissuto come esperienza totalizzante e nobilitante, è testimoniato finanche dalle antiche etichette dei vini di Angelo Mastroberardino, dove uno stemma a scudo sagomato sorretto da due leoni rampanti ha al suo interno un cartiglio con il motto “in labore vis”. Forza che ancora oggi sprigionano le maestose volte, le pareti in tufo e le ruvide botti delle Cantine storiche.

Le ampie dimensioni e l’articolazione degli spazi dell’intera struttura sono tali da renderla oggi pienamente fruibile per ogni utilizzo, aprendosi a funzioni produttive, commerciali, turistico-ricettive e/o residenziali che ne sappiano valorizzare l’enorme potenziale di storia e bellezza e contribuire allo sviluppo del territorio e alla conoscenza della sua enogastronomia.